Iperuricemia, depositi di urato e malattia cardio-nefro-metabolica: la quadratura del cerchio
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Nel corso degli ultimi 10 anni l’interesse della letteratura scientifica nei confronti del dismetabolismo dell’acido urico è cresciuto in modo esponenziale.
Le ragioni di questo interesse sono principalmente due:
• La dimostrazione che la malattia da deposito di urato è ben più frequente di quanto si potesse immaginare fino ad un recente passato: l’attacco acuto di gotta rappresenta solo la punta dell’iceberg della malattia
• La dimostrazione definitiva di uno stretto nesso fisiopatologico tra dismetabolismo dell’acido urico e problematiche cardio-nefro-metaboliche: la solidità delle evidenze scientifiche al riguardo è tale da avere indotto gli estensori delle linee guida dell’ipertensione arteriosa a raccomandare la determinazione dell’uricemia nell’inquadramento clinico del paziente iperteso.
Questi 2 livelli di evidenze rappresentano la base per un dibattito scientifico, ormai indispensabile, tra le figure professionali maggiormente coinvolte nella gestione del dismetabolismo dell’acido urico – specialisti di area cardio-nefro-metabolica e reumatologica e medici di medicina generale – che possa poi tradursi in un prodotto scientifico di orientamento gestionale di questa diffusa problematica clinica.
L’opportunità di questo confronto culturale è testimoniata dal fatto che la gestione terapeutica delle problematiche cliniche legate al dismetabolismo dell’acido urico è ancora largamente inadeguata, sia in termini di identificazione dei pazienti da trattare che di target terapeutici da raggiungere e di gestione farmacologica. Molti pazienti ricevono un trattamento solo “cosmetico”, inefficace al raggiungimento del target, peraltro mantenuto per un periodo di tempo limitato.
La più rilevante criticità di questo trattamento “cosmetico” del dismetabolismo dell’acido urico è rappresentata dall’uso di molecole non adeguatamente potenti e/o sottodosate rispetto al target da raggiungere, e nella generalità dei casi usate per limitati periodi di tempo laddove sarebbe invece necessario il raggiungimento del target minimo di 6 mg/dL raccomandato dalle linee guida ed il suo mantenimento indefinitamente nel tempo.